A differenza di altre specie che si concentrano in areali di coltivazione specializzati, la coltura dell’olivo trova nel Lazio un’ampia diffusione su tutto il territorio, assicurando una presenza su circa il 70% delle aziende agricole.
L’ultimo dato censuario di cui disponiamo (Istat 2010) ci ricorda che sono 67.996 le aziende agricole interessate alla coltivazione dell’olivo, per una superficie complessiva di 67.438 ettari. Ogni azienda ospita in media circa un ettaro di oliveto.
Tuttavia, dal raffronto tra i dati della serie storica dei rilevamenti censuari, si evidenzia una progressiva riduzione delle superfici investite e delle unità di produzione interessate, con il parallelo incremento della dimensione media aziendale. Una tendenza che probabilmente si è andata accentuando nel corso degli ultimi anni. Periodo in cui, stando alle indagini campionarie Istat (2013 e 2016), si sarebbe ridotta anche la superficie agricola complessiva destinata all’olivo, che oggi potrebbe verosimilmente attestarsi su valori di poco superiori ai 60 mila ettari[1].
L’analisi della distribuzione territoriale delle aziende olivicole individua la massima concentrazione (30,4% del totale) nella provincia di Frosinone. A seguire, le province di Roma (22,8%), Viterbo (20%), Latina (17,3%), Rieti (9,5%). Per quanto riguarda, viceversa, la superficie media delle aziende olivicole, si passa dall’estrema polverizzazione del frusinate alla relativa concentrazione del reatino, dove le aziende sono di maggiori dimensioni.
La più elevata dimensione media che si riscontra nelle aziende delle province di Viterbo, Roma e Rieti evidenzia una correlazione positiva con le aree a più spiccata vocazione produttiva, che corrispondono peraltro ai comprensori con marchio DOP riconosciuto.
E’ in questi areali che si concentra la maggior parte delle unità di produzione specializzate che l’Istat ha quantificato in 32.859, corrispondenti ad una superficie di 35.463 ettari, pari al 52,6% della superficie olivicola regionale. Il resto delle coltivazioni viene definita non specializzata e in molti casi si tratta di colture promiscue in cui all’olivo vengono consociate altre colture, oppure semplicemente affiancate ampie porzioni di terreno destinate al pascolo o all’incolto.
In queste condizioni, non stupisce che quasi l’83% dei produttori dichiari che la destinazione finale del prodotto ottenuto sia l’autoconsumo. Il dato potrebbe essere certamente sovrastimato, ma quello che è certo è che solo una minima parte dell’olio di oliva prodotto, probabilmente non superiore al 30%, finisce sui normali canali commerciali, sfuso o confezionato che sia.
Sulla base dei dati forniti dall’Istat (stime 2010-2017) si può ritenere che la produzione media annua di olio di pressione si aggiri sulle 21.000 tonnellate, con ampi scostamenti da questo valore tra un’annata e l’altra.
L’estrema polverizzazione del tessuto produttivo e l’elevata variabilità delle quantità prodotte, costituiscono elementi strutturali di debolezza del settore. Ne consegue che anche gli sforzi finalizzati alla valorizzazione dell’olio extravergine di oliva, così come i tentativi di rendere più efficienti gli impianti di trasformazione si infrangono contro ostacoli non facili da rimuovere. La maggior parte dei 283 frantoi attivi nel Lazio (Agea 2014-15), vengono utilizzati solo per pochi giorni di lavorazione nell’arco dell’anno.
[1] Viceversa i valori stimati annualmente dall’ISTAT con altre metodologie di indagine individuano una superficie in produzione compresa tra 85.611 ha. (2010) e 79.871 ha. (2017).