Suini antichi, il Lazio alla riscoperta degli autoctoni

05/06/2020 - 

L’interesse di gourmet e appassionati sta facendo rinascere l’allevamento delle antiche razze suine. Due di queste, Casertana e Apulo-Calabrese, storicamente sono presenti nella nostra regione e oggi sono esempi di agrobiodiversità tutelata.  

Su dipinti, mosaici e bassorilievi ritrovati a Pompei, Capua ed Ercolano sono raffigurate le sagome di alcuni maiali scuri, che già all’epoca si allevavano lungo la Penisola. Per secoli, l’allevamento di questi esemplari è stato praticato con regolarità sull’intero territorio italiano. Almeno fino al Novecento, quando furono abbandonati in favore di razze più produttive, malgrado fossero caratteristici della nostra agricoltura e tra i più pregiati in assoluto per la qualità delle carni.

Rispetto ai maiali con mantello bianco, introdotti solo nel corso dell’epoca moderna, queste razze sono autoctone del Sud Europa. Per secoli, sono state allevate nei boschi o presso le abitazioni. Tanto che, nell’Italia medioevale era piuttosto diffusa l’abitudine di classificare le terre boschive proprio in base alla presenza dei suini.

Due antiche razze suine, tra le sei censite in Italia, sono considerate autoctone anche nel Lazio: il suino Casertano e il suino Apulo-Calabrese. Due razze abbandonate nel corso del Novecento, tornate in auge grazie al rinnovato interesse per gli autoctoni e la biodiversità animale. Entrambe sono iscritte nel Registro Volontario Regionale e tutelate dalla Legge Regionale n. 15/2000 Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario che salvaguarda la nostra agrobiodiversità territoriale  

Negli ultimi anni, entrambe sono al centro di una vera e propria rinascita produttiva, grazie al lavoro di tante giovani aziende zootecniche, che proprio sulla loro riscoperta stanno costruendo piccole storie d’imprenditoria sostenibile, utili alla rinascita d’interi territori. Aziende che in buon parte, sono già iscritte nella Rete di Conservazione e Sicurezza regionale, composta dai detentori delle risorse animali e vegetali, tutelate dalla L.R. 15/2000.

LA RAZZA CASERTANA
Tra le due è forse la più famosa e la meglio conosciuta. La casertana ha una storia lunga e affascinante. Nei territori compresi tra la Campania e il Basso Lazio, sin dall’epoca romana è documentata la presenza di suini glabri, con la testa corta e la faccia camusa, simili a quelli asiatici. Nel corso dei secoli, da ripetuti meticciamenti con quelli di origine europea, ha avuto origine la razza Casertana, che alla fine del Settecento aveva caratteri morfologici già ben definiti.

La razza prende il nome dall’area di provenienza, che alla fine del Settecento era tra le più popolose dell’intero regno borbonico: l’intera provincia di Caserta, unita a parte del Molise e delle attuali province di Latina e Frosinone, che a partire dell’Ottocento furono ricomprese nei territori della storica “Terra di Lavoro”. All’epoca la Casertana era già conosciuta come “razza gentile”, adatta all’allevamento nelle masserie e in prossimità degli abitati, ma soprattutto, era piuttosto rinomata, per la qualità delle sue carni e l’attitudine a produrre grasso, tanto da vantare estimatori nelle diverse corti europee. La sua notorietà, nel corso dell’Ottocento rese l’areale di allevamento della Casertana il terzo per consistenza suinicola della Penisola, dopo l’Umbria e il Milanese.

La razza si caratterizza per la cute quasi interamente glabra, il mantello nero o grigio ardesia, la taglia piccola, il tronco stretto, il grugno lungo e sottile e la presenza di téttole.

APULO-CALABRESE
La storia di questa razza è legata alle vicende pastorali dell’Italia appenninica. L’Apulo-Calabrese è una popolazione suina costituita nei secoli e diffusa con la transumanza delle greggi, sulle direttrici viarie risalenti all’epoca romana che collegavano l’Alto Lazio, l’Abruzzo, la Puglia, la Basilicata e la Calabria.

L’allevamento dei suini scuri di razza Apulo-Calabrese era piuttosto diffuso fino al XIX secolo lungo l’Appennino centro-meridionale, tendenzialmente all’aperto e lungo i contrafforti, anche per la particolare rusticità della razza e l’attitudine a cibarsi di materie prime povere. Nel corso del Novecento l’introduzione di razze cosmopolite e la sostituzione con tipi più produttivi, ha condotto all’erosione di questa risorsa genetica, fino alla fine degli anni Novanta, dove proprio nel Sud è iniziata un’azione di recupero. 

I caratteri morfologici tipici della razza sono il mantello nero, la testa di media grandezza, la taglia medio-piccola e lo scheletro robusto. Nel Lazio, l’allevamento del suino Apulo-Calabrese è articolato prevalentemente in due popolazioni, radicate nel centro sud e nel centro nord della regione: il Nero dei Monti Lepini e il Nero Reatino

I SUINI ANTICHI NELLA GASTRONOMIA
In genere, almeno in enogastronomia, con la definizione “suino nero” sono indicate tutte le razze suinicole autoctone, con mantello e pigmento scuro. Questi suini sono adatti all’allevamento all’aperto, sia allo stato brado che semibrado.

L’alimentazione rustica dei suini neri garantisce carni gustose e marezzate, con sottili venature di grasso che ammorbidiscono e donano sapore ai tessuti. Inoltre, il movimento dovuto all’allevamento brado previene la ritenzione idrica, rendendo le carni adatte alla cottura.  Le loro carni sono rinomate anche nelle preparazioni di salumeria, grazie alla qualità del grasso intramuscolare, che le rende perfette per la produzione di prosciutti e insaccati.  

Nel Lazio, soprattutto nell’area di Monti Lepini, la produzione di salumi ottenuti dalle carni di suino nero locale è una tradizione molto radicata. Tanto che guanciale, lardo, lonza, lonzino, pancetta, prosciutto e salsiccia di suino nero dei Lepini sono inclusi nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) della Regione Lazio.