Principi generali delle produzioni biologiche

L’agricoltura biologica e i metodi di coltivazione ad essa riconducibili si ispirano a principi e a scuole di pensiero che si diffusero in Europa a partire dai primi decenni del secolo scorso. Furono in particolare le teorie antroposofiche dell’austriaco Rudolf Steiner (fondatore dell’agricoltura biodinamica), divulgate negli anni venti in Germania e Svizzera e, successivamente, negli anni ’40 le attività promosse dalla Soil Association di Sir Howard in Gran Bretagna e di Rusch e Muller in Svizzera a costituire la base di riferimento teorico-pratica per lo sviluppo delle prime esperienze applicate di agricoltura biologica. Grazie a questi pionieri e a gruppi sempre più numerosi di agricoltori e ricercatori che negli anni della Rivoluzione Verde degli anni ’50-60 hanno abbracciato queste teorie, si è venuto delineando quell’approccio agro-ecologico che oggi è riconosciuto come indispensabile per adeguare l’agricoltura alle nuove sfide ambientali e che viene richiamato sempre più spesso dagli strumenti di programmazione di politica agraria, ambientale e sanitaria.

Il metodo di produzione biologico è stato definito a livello comunitario con un primo regolamento nel 1991, (Regolamento CEE 2092/91), sostituito poi dai Regolamenti CE 834 del 2007 e 889 del 2008; questi, insieme a diversi atti modificativi e/o integrativi intervenuti sia a livello europeo che nazionale, disciplinano la produzione e la certificazione dei prodotti biologici. Il processo produttivo è controllato lungo tutta la filiera da organismi di certificazione accreditati e autorizzati dal MIPAAF, sui quali viene svolta una attività di sorveglianza pubblica, che nella Regione Lazio è demandata ad ARSIAL dalla LR 21/98 “Norme per l’agricoltura biologica”.

Le normative di settore definiscono i criteri per la produzione della maggioranza dei generi agro-alimentari; nel 2009 è stata introdotta la regolamentazione per l’acquacoltura, nel 2012 quella relativa alla vinificazione.

La normativa di riferimento è consultabile nella sezione normativa del SINAB. Tuttavia, a prescindere da quanto definito per legge, a livello internazionale resta attivo un processo di condivisione dei principi ispiratori dell’agricoltura organica, attraverso l’operato di organizzazioni internazionali quali l’IFOAM.

Le norme definiscono ciò che è possibile fare e ciò che è vietato nel processo produttivo. A tale riguardo, per comprendere le ragioni di prescrizioni così puntuali, è bene ricordare che la coltivazione biologica si basa sulla progettazione e appropriata gestione dei processi di produzione fondati su sistemi ecologici che impiegano risorse naturali interne ai sistemi stessi, limitando l’uso di fattori esterni, soprattutto se ottenuti per sintesi chimica; è, inoltre, prevista la possibilità di adattamento delle norme alle diverse condizioni locali e/o eccezionali. Si delinea, in sintesi, un approccio agro-ecologico che presuppone una gestione organica della produzione ispirata ai seguenti principi:

  • tener conto dell’equilibrio ecologico locale quando si operano le scelte produttive;
  • prevedere una valutazione dei rischi e idonee misure precauzionali e di prevenzione;
  • praticare la coltivazione e l’allevamento legate alla terra e una acquacoltura sostenibile;
  • mantenere e potenziare la vita, la stabilità, la biodiversità e la fertilità del suolo;
  • ridurre al minimo l’impiego di risorse non rinnovabili e di fattori di origine esterna;
  • riutilizzare rifiuti e sottoprodotti di origine vegetale e animale come fattori di produzione;
  • preferire specie adatte e varietà resistenti, rotazioni adeguate, privilegiare mezzi fisico-meccanici e la lotta biologica, riducendo al minimo anche l’utilizzo di sostanze ammesse, nella difesa delle piante;
  • tutelare la salute degli animali con pratiche volte a rafforzare i sistemi immunitari, scegliere razze adatte al luogo e al tipo di produzione, puntare ad un alto livello di benessere;
  • utilizzare animali allevati sin dalla nascita in aziende biologiche;
  • prevedere un adeguato accesso al pascolo e mangimi provenienti da agricoltura biologica;
  • utilizzare in via prioritaria ingredienti ottenuti con i metodi dell’agricoltura biologica;
  • limitare l’uso di additivi, micronutrienti e ausiliari di fabbricazione;
  • trasformare gli alimenti, preferibilmente avvalendosi di metodi biologici, meccanici e fisici.

I principi citati divengono ancora più stringenti nel caso dell’agricoltura biodinamica. Essa considera l’azienda agricola come un organismo complesso, in cui tutti gli elementi interagiscono tra di loro e ne permettono la sopravvivenza. Rudolf Steiner e gli studi che hanno tratto origine dalle sue lezioni, prestano particolare attenzione alla gestione della fertilità del terreno e al rafforzamento della relazione suolo-pianta, attraverso l’uso dei preparati biodinamici (preparati da spruzzo, corno letame e corno silice, utilizzati sia sul terreno che sulle piante con funzione di attivatori dei microrganismi del suolo e dei processi fisiologici delle piante; preparati da cumulo, identificati con n. da 502 a 507, costituiti a partire da essenze vegetali e utilizzati per il trattamento del compost da utilizzare nella concimazione), delle consociazioni (influenza positiva reciproca tra piante diverse), dei sovesci multifloreali (essenze erbacee interrate per aumentare la sostanza organica e la biodiversità), delle rotazioni colturali (alternanza tra piante miglioratrici e depauperanti) e di lavorazioni idonee a proteggere la fertilità del terreno.

Infine, la biodinamica attribuisce particolare importanza all’influsso del cosmo su tutto “l’organismo-agricolo”, prescrivendo specifici calendari per le diverse operazioni colturali.