Tre borse di studio per premiare le idee migliori, perché la lotta allo spreco del cibo deve partire dalle scuole e arrivare fino alle famiglie. Solo così, con l’educazione, l’informazione e la formazione, si potrà abbattere un fenomeno i cui numeri, ormai impressionanti, urlano alle nostre coscienze. Queste le dichiarazioni di Antonio Rosati, amministratore unico di Arsial, in un’intervista rilasciata in occasione del Convegno.
Spreco alimentare: un problema noto, ma le cifre sono impressionanti! Ogni anno lungo la filiera mondiale dell’agroindustria si perdono 1,6 miliardi di tonnellate di cibo, dalla materia prima ai prodotti trasformati. Cinque milioni di tonnellate, 146 chili pro-capite, 12,6 miliardi di euro in valore: queste le cifre dello spreco alimentare che si registrano ogni anno nel nostro Paese. Su questo tema e sulle strategie utili ad arginare il fenomeno Arsial e la Regione Lazio, in collaborazione con Greenaccord Onlus hanno voluto richiamare l’attenzione promuovendo presso l’auditorium Antonianum di Roma una giornata di studio “Il cibo prodotto, apprezzato, consumato, condiviso e che si butta via”. Un’iniziativa rivolta in primo luogo al mondo dell’informazione per far sì che sull’argomento si facciano campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica in modo equilibrato ma efficace, ma anche e soprattutto al mondo della formazione, alle scuole e al personale insegnante perché contribuisca con il proprio lavoro quotidiano a diffondere e a far apprezzare il valore, non solo economico, ma anche etico e culturale del cibo.
Tra i relatori, esperti nazionali e internazionali di alimentazione e filiere agricole (Marcela Villareal, direttrice divisione Sviluppo della Fao, Andrea Sonnino, dipartimento Sostenibilità dei sistemi produttivi dell’Enea) intenti a snocciolare cifre e a mettere in evidenza i tratti salienti del fenomeno, allo scopo di formulare proposte e suggerire possibili azioni correttive. Perché lo spreco alimentare, oltre che essere uno schiaffo alla povertà e alla sotto-nutrizione – i quasi 800 milioni di persone che ancora non dispongono del minimo indispensabile per sfamarsi – è anche un colpo durissimo inferto all’ambiente e alla riserva di risorse naturali disponibili sull’intero pianeta. Ma la responsabilità non è solo imputabile ai sistemi produttivi, alle filiere agricole, alle catene distributive, esiste un problema reale legato agli stili di vita e ai modelli di consumo che chiama in causa direttamente famiglie e singoli cittadini, perché oltre il 50 per cento dello spreco si origina sul versante del consumo finale.
E qui, entrano in gioco le tante iniziative messe in campo per il recupero delle “eccedenze” alimentari, promosse prevalentemente da onlus e dalla rete di associazioni di volontariato, tra cui il Banco alimentare e le Caritas diocesane, che intervengono nella fase distributiva per “salvare” e ricollocare tra gli indigenti beni alimentari altrimenti destinati ad essere smaltiti come rifiuti. Circuiti e comportamenti virtuosi, a cui la recente legge sullo spreco alimentare approvata dal Parlamento italiano fornisce certamente un contributo concreto perché, come dice Marco Lucchini del Banco Alimentare, intervenendo sulla materia e normandola “fa superare le paure che bloccavano molti a donare”. E in più, è immediatamente applicabile.