L’Italia consolida le proprie posizioni sul mercato delle produzioni agroalimentari ad indicazione geografica. Non solo mantiene il primato a livello mondiale per numero di certificazioni DOP e IGP, ma aumenta significativamente anche nel 2016 le nuove registrazioni. E’ quanto emerge dal 14° rapporto Ismea – Qualivita, presentato questa mattina a Roma. In uno scenario mondiale che annovera 2.959 prodotti a marchio tra DOP, IGP e STG, il nostro Paese si distingue per la presenza di 814 prodotti a Indicazione Geografica, di cui 291 appartenenti al comparto alimentare, dai formaggi, alle carni fresche e lavorate, ai prodotti da forno e 523 al comparto vitivinicolo. Un segmento di alta qualità che nel complesso raggiunge in valore alla produzione i 13,8 miliardi di euro nel 2015 e rappresenta il 10% del fatturato totale dell’industria agroalimentare nazionale. Mentre sale al 21% il suo peso relativo, se si considera l’incidenza sul totale delle esportazioni agroalimentari, con un incremento su base annua registrato nel 2015 pari al 9,6%. In crescita (+5,1%), anche le vendite nel circuito della grande distribuzione nazionale, dove i prodotti a marchio si distinguono per la loro performance all’interno della categoria dei prodotti alimentari a peso.
Questi i dati complessivi, certamente confortanti, che tuttavia nascondono una realtà molto più problematica legata alla distribuzione territoriale lungo la Penisola, con una concentrazione particolarmente spinta nell’area padana e alla forte divaricazione tra marchi forti (Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, ecc.), pochi e una miriade di “specialità territoriali” di estremo interesse, scarsamente rivendicate e comunque a impatto commerciale spesso residuale.
Con 29 prodotti agroalimentari riconosciuti a indicazione geografica e 36 vini tra DOC, IGT e DOCG, il Lazio si colloca in questo contesto alquanto variegato in una posizione di tutto rispetto, grazie anche agli sforzi compiuti faticosamente negli ultimi 15 anni. Scendendo nel dettaglio delle tendenze per categoria merceologica, il rapporto Ismea-Qualivita individua per la nostra regione alcuni risultati sicuramente significativi raggiunti nell’ultimo anno (2015). Nella categoria dei formaggi, si distingue in particolare il Pecorino Romano DOP che fa registrare un aumento di produzione del 25% in volume sull’anno precedente e un incremento in valore nell’ordine del 62%, posizionandosi tra i dieci prodotti più rappresentativi, in termini di valore, sul piano nazionale. In un altro segmento, quello delle carni fresche, una performance particolarmente brillante viene registrata per l’Abbacchio Romano IGP che tra il 2014 e il 2015 incrementa del 20% la produzione certificata, con un aumento in valore del 26%. Nonostante il peso modesto che questa categoria merceologica riveste, tuttora, nei flussi di esportazione delle produzioni agroalimentari certificate.
Un discorso a parte va fatto, viceversa, per gli oli extravergini di oliva ove tra i primi posti, anche se in posizione arretrata, è presente per il Lazio l’Olio EVO Sabina DOP. Innanzitutto perché l’intera categoria degli oli di oliva a IG (42 DOP e 3 IGP), pur rappresentando il 15% dei riconoscimenti totali del comparto alimentare, incide solo per un modesto 1% sulla produzione di valore, tanto che i volumi certificati non oltrepassano il 2% del totale prodotto. Ma in secondo luogo, anche perché gli incrementi particolarmente significativi registrati nel 2015 rispetto all’anno precedente, sia in termini di volumi che di valori, sono stati pesantemente condizionati dalla disastrosa campagna olivicola 2014, nel corso della quale per effetto dei ridotti standard qualitativi raggiunti e per la scarsità di produzione le quantità certificate sono state estremamente contenute.
Nessuna segnalazione infine per il Lazio, come era ovvio aspettarsi, emerge dal Rapporto a proposito del comparto “Wine”, che nel contesto nazionale delle certificazioni fa la parte del leone con ben 523 riconoscimenti. Un numero che arriva a coprire circa il 50% della produzione vitivinicola italiana, per un valore alla produzione di 7,4 miliardi di euro e che contribuisce all’export vitivinicolo nazionale per l’87% del valore complessivo. Si tratta tuttavia di un comparto contraddistinto da una fortissima concentrazione territoriale, dove le prime dieci DOP rappresentano il 53% della produzione totale e il 58% in valore e dove tre sole regioni, Veneto, Piemonte e Toscana controllano il 56% del totale certificato DOP.
Anche qui, tanti i riconoscimenti registrati, ma pochi quelli veramente significativi a livello di volumi e di quote di mercato. Un discorso particolarmente sentito nel Lazio, che si fregia di ben 36 riconoscimenti registrati per i vini ma dove ci si interroga da tempo sulle scelte strategiche per il comparto vitivinicolo, in presenza di una forte riduzione delle superfici dedicate alla coltura e di un elevato numero di DOC non rivendicate.