L’espansione del nocciolo e la sostenibilità della coltura nel Lazio

24/04/2018 - 

Risale a 3 anni fa l’accordo di programma sottoscritto tra cinque regioni italiane, tra cui il Lazio, Ismea e Ferrero sul Progetto ‘Nocciola Italia’, lanciato dalla multinazionale di Alba per lo sviluppo di una filiera di qualità nel nostro paese, allo scopo di disporre di materia prima certificata per le proprie linee di trasformazione.

In quella sede venivano definite le azioni che i partner avrebbero messo in campo, ciascuno con i propri mezzi, per favorire uno sviluppo sostenibile della corilicoltura. Con l’obiettivo comunque di aumentare le superfici coltivate di 20mila ettari entro il 2025.

Nel frattempo, la forte richiesta di prodotto registrata al consumo sui mercati internazionali, che non sempre ha avuto riflessi positivi sui prezzi alla produzione, ha spinto i paesi produttori ad aumentare le superfici investite e ha fatto sì che nuovi paesi si aggiungessero al novero dei produttori tradizionali. In Italia, tale tendenza si è tradotta negli ultimi anni in un aumento del 15% delle superfici a nocciolo, con punte particolarmente significative in Piemonte e nel Lazio, regioni leader per questa coltivazione.

L’attrazione esercitata da una coltura dal reddito promettente, rischia tuttavia di far passare in secondo piano l’esigenza di valutare accuratamente la vocazionalità dei territori e in particolare dei suoli da utilizzare, nonché gli effetti negativi di tipo ambientale connessi all’estendersi incondizionato di sistemi monocolturali. E, infine, espone i produttori ad aderire a contratti di coltivazione dai contorni non del tutto definiti, dove il potere contrattuale dei singoli si dovrà confrontare con le scelte strategiche di un gruppo multinazionale.

E’ su questi temi, e sulla scorta delle preoccupazioni cui si è accennato, che si è svolto nei giorni scorsi a Nepi, nel Lazio, un incontro internazionale sulla filiera della nocciola, dal titolo “Dalla produzione locale al mercato globale. Problematiche e opportunità”. Promosso dal Biodistretto della Via Amerina e delle Forre, con il contributo di ARSIAL e la collaborazione della FAO, l’incontro ha visto la partecipazione di produttori provenienti dalla Turchia e dalla Georgia, oltreché dall’Italia, in rappresentanza di organizzazioni e comunità locali.

Mentre le delegazioni straniere hanno richiamato l’attenzione sul ridotto potere contrattuale che contrappone i produttori agricoli all’industria di trasformazione, tanto più in contesti in cui l’aggregazione dell’offerta risulta alquanto problematica, gli interventi domestici si sono concentrati sulla mancata valorizzazione delle produzioni di qualità. In particolare sullo scarso interesse dimostrato fino ad oggi, dal gruppo dolciario multinazionale, a trasferire sul prodotto finale le certificazioni di qualità della fase produttiva. Tranne timide iniziative intraprese per la valorizzazione della Nocciola Piemonte IGP, il gruppo Ferrero sembra essere stato fino ad oggi poco interessato alle certificazioni biologiche e al riconoscimento di indicazioni geografiche sui propri prodotti. L’attenzione si è concentrata soprattutto sulla presenza di aflatossine, che certamente costituiscono una delle principali criticità sanitarie a cui va incontro il prodotto nella fase post raccolta. Ed è su tale base, che è stata accordata la preferenza alla nocciola italiana rispetto a quella di importazione.

Viceversa, un ulteriore ampliamento delle aree dedicate alla corilicoltura nel Lazio non potrà che essere associato all’adozione di rigidi criteri di sostenibilità ambientale, tanto più che una prima analisi condotta dal Crea sulla scorta dei dati acquisiti per la redazione della carta pedologica regionale, mentre esclude la presenza di terreni ‘adatti’ alla coltivazione del nocciolo (S1), individua solo un 43% dei suoli come moderatamente e marginalmente ‘adatto’ (S2, S3) alla coltura.