La sfida, come si sa, è quella di arrivare per primi. Ma la partita con il cambiamento climatico in corso, se non è persa, è comunque molto difficile. I ritmi del fenomeno globale sono talmente accelerati, che è difficile immaginare che le complicate alchimie, tra Paesi e blocchi contrapposti, possano produrre in tempi utili misure adeguate di contrasto, tali da mettere in sicurezza il Pianeta.
Al convegno ‘Adattamento delle filiere Agroalimentari ai cambiamenti Climatici’, svoltosi lo scorso 30 novembre all’auditorium Augustinianum di Roma, su iniziativa dell’Associazione Culturale Greenaccord Onlus, in collaborazione con Regione Lazio e Arsial, Riccardo Valentini, docente all’università della Tuscia e membro del direttivo del CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) ha tracciato un quadro impietoso delle tendenze in atto. “L’agricoltura e l’allevamento – dice Valentini – contribuiscono per un buon 20% alle emissioni globali di gas serra. I sondaggi effettuati in Antartide sugli strati di ghiaccio hanno permesso di riscostruire 800 mila anni di storia. Mentre la concentrazione di CO2 nel corso delle ere geologiche e dei secoli ha oscillato mediamente tra 180 e 300 parti per milione, gli stessi valori negli ultimi anni sono schizzati in alto, apportando modificazioni senza precedenti alla serie storica. Con riferimento all’innalzamento delle temperature, l’obiettivo da centrare per fine secolo sarebbe quello di contenere il fenomeno entro i 2 gradi centigradi di aumento medio. “Ma negli ultimi tempi – continua Valentini, mostrando una slide significativa sull’incremento tendenziale delle temperature – ogni anno che si succede viene definito come l’anno più caldo del secolo. A questo punto, io non faccio altro che cambiare l’anno, mantenendo invariata la slide”. Se il clima cambia, si chiede il premio Nobel della Tuscia, come daremo cibo a tutti? Allora, occorre mettere in relazione l’aumento della popolazione mondiale con il tema della sostenibilità ambientale e capire come le modificazioni climatiche incidono sulla produzione agricola. E ancora, interrogarsi sul valore ambientale della produzione agricola.
“Gli scenari tracciati per gli anni a venire, indicano che nelle aree tropicali le modificazioni climatiche portano ad una riduzione netta e irreversibile di produzione, mentre nelle zone temperate si assiste al medesimo fenomeno di riduzione, ma ci si può adattare. Come è avvenuto per il settore industriale, tanto che oggi si parla di Industry 4.0, anche l’agricoltura deve adeguarsi, puntando alla fase 5.0 del suo percorso evolutivo.”
Ma insieme al cambiamento climatico, che condiziona in modo determinante la produzione di cibo, c’è il problema dello spreco alimentare su cui richiama l’attenzione l’amministratore unico di Arsial, Antonio Rosati. “La legge sullo spreco di cibo, approvata circa un anno fa dal parlamento italiano, è una delle leggi all’avanguardia in Europa. Mentre la legge francese punisce chi spreca, la normativa italiana punta sull’incentivazione di chi sceglie di donare i generi alimentari in surplus. Ogni anno, in Italia, si spreca cibo per un valore pari a 16 miliardi di euro, corrispondente al 27/30% del totale. E rivolto alla platea di studenti degli istituti agrari e alberghieri di Roma e del Lazio, aggiunge: Quanti di noi buttano cibo, ripulendo il frigorifero a fine settimana? Voi dovete diventare gli ambasciatori di un cibo intelligente, il cibo di prossimità, che causa un minor impatto sull’ambiente. Con i panificatori romani stiamo ragionando per mettere a punto il ‘pane sospeso’, sulla scorta della tradizione napoletana del ‘caffè sospeso’. Un impegno a sostenere chi non ce la fa. (vai all’intervista)
Il giornalista Sergio Malatesta, autore per conto della Rai nella trasmissione ‘Linea Verde’, ha mostrato alcuni documentari girati in diverse realtà italiane e straniere, dove il tema del cambiamento climatico costituisce il filo conduttore. Ma soprattutto ha mostrato una lunga intervista al premio Nobel Jeremy Rifkin, uno degli esponenti più prestigiosi e più lungimiranti del mondo scientifico internazionale, che invita a riflettere sull’urgenza dettata dai cambiamenti climatici e insieme ad essi sulla necessità di adottare al più presto modelli di sviluppo realmente sostenibili.
La neoeletta direttrice della Coldiretti Lazio, Sara Paraluppi, ha ricordato il grande valore del mercato romano e l’impegno della sua organizzazione per dare dignità al mondo agricolo e ai suoi protagonisti, ponendo al centro della scena la tipicità dei territori e la qualità delle produzioni.
Ma il vero valore aggiunto della mattinata sono stati gli interventi scientifici che si sono succeduti, tutti di altissimo profilo, sui diversi aspetti della produzione alimentare, chiamati in causa dal cambiamento climatico.
Franco Miglietta, Ricercatore CNR-IBIMET, si è limitato a fornire due esempi di possibili linee di ricerca, su cui si sta lavorando per far sì che le piante possano adattarsi e sopportare meglio il cambiamento climatico, sfruttando meglio l’energia solare. Ha parlato così di ‘annualismo’ e ‘perennialismo’ con riferimento alla vita biologica delle principali specie alimentari e di selezione genetica delle piante tesa ad aumentare la quota di radiazione solare riflessa, così da ridurre il riscaldamento del suolo. Concludendo con questa frase: “se riuscissimo a cambiare il colore della nostra agricoltura, potremmo raffreddare in quota parte la temperatura del suolo”.
Fabian Capitanio, docente di economia agraria all’Università Federico II di Napoli, si è soffermato infine sugli aspetti economici chiamati in causa dal cambiamento climatico, spaziando dai grandi fenomeni globali, quali il land grabbing e la desertificazione, ai fattori di rischio che incombono sulle economie di gestione della produzione agricola nostrana.